Recensione #10 – The Whale
di Leonardo Maniciati

La possente fragilità di un uomo in lotta con sé stesso
Ieri sera sono riuscito a recuperare un ultimo tassello importante in ottica Oscar 2023: finalmente anche io ho visto ‘The Whale’. Ultimo film di Darren Aronofsky, che segna un ritorno in grande forma per Brendan Fraser, accolto a Venezia con un’ovazione di 6 minuti, durante la presentazione in anteprima alla Mostra del Cinema lo scorso Settembre.
Devo dire che la curiosità era tanta, soprattutto per Fraser. Da piccolo sono cresciuto con i suoi film della ‘Mummia’ e ne conservo un bellissimo ricordo personale.
Aspettative importanti, per un film importante; che non mi ha deluso. ‘The Whale’ è un opera carica di tristezza e miseria, ma anche di amore e sentimenti.
Il film ci racconta di Charlie, un obeso patologico, che prigioniero della sua casa e di sé stesso, si sta lentamente lasciando andare. L’uomo vive da solo, con l’assistenza dell’amica ed infermiera Liz (Hong Chau), fino a quando non decide di riallacciare i rapporti con la figlia Ellie (Sadie Sink).
La trama è tutta qui e da queste poche premesse Aronofsky ci raggiunge con numerosissimi spunti e tematiche. Malattia, identità sessuale, discriminazione, accettazione di sé, i compiti di un educatore, sincerità, fede.
Nonostante questo la pellicola non si perde in se stessa, ma anzi riesce a tenere brillantemente le fila di tutto. Non aspettatevi dunque un film semplice. ‘The Whale’ è un’opera intensa, sia da comprendere appieno, che da vivere come spettatori.
Il film è claustrofobico e a tratti straziante. Condividiamo con Charlie gli angusti spazi del suo appartamento, ormai divenuto inospitale per il suo corpo in desolante abbandono.
La sensazione è amplificata dalla scelta del formato in 4:3, che rende impossibile al pubblico ignorare la quantità di spazio che occupa nel mondo.
Le inquadrature restituiscono tutta la difficoltà di vivere dell’uomo, dove anche la più quotidiana delle azioni diventa sofferta. Lentamente la casa inizia a starci stretta come al protagonista, mano mano arrivando a sentirci intrappolati come lui senza rendercene conto.

L’insostenibilità del Sé
Anche la pietas è un tema che ritorna nel film. Moderno invito alla comprensione e la cura dell’altro, con un occhio in generale a tutte quelle condizioni di malessere psico-fisiche sempre più diffuse nella nostra società. Banale forse, ma più attuale che mai.
Aronofsky insiste sul corpo informe del protagonista, in bilico tra morbosità e disgusto. È innegabile che cerchi di instillare un senso di pietà nei confronti delle condizioni in cui versa Charlie, ma lo fa a mio avviso in modo non eccessivo, sicuramente empatico, e soprattutto netto, con un senso di totale condanna a questa ‘punizione’ corporea che l’uomo si autoinfligge.
Che dire della performance di Brendan Fraser? Semplicemente magistrale. Il film è sostanzialmente un one-man show in cui l’attore mette in luce con rara grazia e intensità la difficile condizione dell’obesità. Possente, fragile e gentile. Fraser sembra nato per questo ruolo.
A tal proposito una menzione anche all’eccelso lavoro di make up svolto dall’artista Adrien Morot (già all’opera in ‘The Lighthouse‘ e ‘M3gan’). La fat suit indossata da Fraser è convincentissima, e nonostante l’imponente trucco prostetico, la performance non ne viene impattata. Semplicemente ridicole le polemiche sul fat shaming.
Il resto del cast vive un po’ tutto all’ombra di Charlie. Apprezzabile l’interpretazione di Ty Simpkins nei panni del missionario Thomas. Più riuscito forse della problematica figlia interpretata da Sadie Sink, anche e soprattutto nelle dinamiche che instaura col protagonista.
Unica altra nota leggermente stonata è per me il finale. Seppur ne comprenda i significati intrinsechi, lo ritengo un po’ kitsch e melenso, stonato rispetto al resto della pellicola.
Nonostante ciò ‘The Whale’ resta un film stupendo, di cui consiglio a tutti la visione. Straziante e commovente, con un Fraser decisamente strepitoso, lanciato fortemente alla ricerca della statuetta agli imminenti Oscar. Da vedere anche solo per questa interpretazione.