Recensione #20 – Assasinio a Venezia
di Leonardo Maniciati

Un giallo che è un horror
Torna il detective Poirot ed io torno al cinema per questa nuova recensione. Dopo un ottimo esordio e un deludentissimo secondo capitolo ritorna Kenneth Branagh, nei panni del celebre detective baffuto. Prodotto da 20th Century Studios, il film è uscito nelle sale italiane lo scorso 14 Settembre. Vediamo fino a che punto è riuscito a convincermi.
Questa nuova indagine si ambienta nel 1947, con un Poirot vecchio e stanco, in esilio forzato a Venezia. Il nostro, dopo un vita di indagini e due guerre mondiali, ha deciso di ritirarsi. A farlo tornare in pista (più o meno) è la sua vecchia amica Ariadne Oliver. La donna convincerà Poirot a seguirla per una seduta spiritica, con lo scopo di indagare sulla medium. Da qui la vicenda prende tutt’altra piega e il nostro si ritroverà suo malgrado alle prese con nuovo caso.
Nonostante pessimo ricordo della seconda pellicola, il trailer di questo nuovo film ha saputo convincermi da subito, tanto da riportarmi in sala. Saranno le atmosfere horror, sarà l’ambientazione veneziana, ma ero decisamente intrigato.

Venezia mon amour
Al netto di qualche incongruenza storica, le atmosfere della città cupa e piovosa mi sono piaciute moltissimo. Le riprese negli interni sono realizzate in studio, ma la produzione ha saputo ricreare fedelmente il decadente palazzo veneziano dove si svolge la narrazione. Ottima anche la regia di Branagh, che fa sapiente uso di inquadrature sghembe e strette, mutuate dal cinema orrorifico, che ben si sposano col setting del film. Molto bene a tal proposito anche la colonna sonora.
Branagh torna ovviamente anche come attore, nei panni del detective nato dalla penna di Agatha Christie; performance decisamente più convincente della precedente. Assieme a lui Michelle Yeoh, nei panni della medium, e Tina Fey, in quelli della scrittrice e amica.
Al netto del protagonista, il resto dei personaggi non sono particolarmente memorabili, così come le loro performance. Scamarcio su tutti decisamente rivedibile. Detestabilissima la scelta di ridoppiarsi nella versione italiana, che fa apparire il suo personaggi scollato dal resto, con evidenti problemi di labiale e mixaggio.

One shot
Il film intrattiene, e lo fa molto bene. La durata è perfetta così come il ritmo dell’indagine tutta. Ciò che invece è il suo più gran difetto, è la la storia, o meglio la semplicità con cui affronta certi risvolti della stessa. E questo per un giallo è un po’ un problema.
Il caso di per sé è affascinante, e offre nuovi spunti rispetto ai due più “classici” film precedenti. Il film infatti è liberamente tratto dal romanzo ‘Poirot e la strage degli innocenti’, di cui mutua le basi, che poi reinterpreta a suo modo. Fa questo, salvo poi perdersi in delle piccolezze. Dettagli poco curati, che ad una più attenta riflessione, hanno influito moltissimo sul mio giudizio.
Non posso scendere più nei dettagli, per non rischiare di sfociare nello spoiler. Ciò che posso dire è che sono sicuro che ad una seconda visione il tutto non reggerebbe, non potrei arrivare a un livello di sospensione dell’incredulità tale da godermi nuovamente il film.
Tirando le somme, ve lo consiglio dunque? Sì. Al netto di quanto sopra, la pellicola è un evidente miglioramento rispetto al capitolo precedente: sia a livello visivo (ci ricordiamo tutti gli orrendi green screen sul Nilo), che recitativo (non che ci volesse molto a fare meglio di Gal Gadot). A mio dire il migliore della trilogia. Un giallo ben confezionato, che risulta ancora più piacevole se affrontato senza troppe pretese. Unico peccato: difficilmente lo vorrete rivedere.